Un nuovo studio dell’Università di Bari e del Center for Music in the Brain della Aarhus University (Danimarca) ha evidenziato che le persone
con disturbi da uso di sostanze, in particolare eroina e cocaina, rispondono alla musica in modo diverso rispetto ai non consumatori.
La ricerca, pubblicata di recente sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences PNAS, ha esaminato l’esperienza del groove, ossia il piacere di muoversi con la musica, nei consumatori di eroina e cocaina. I risultati suggeriscono che l’interazione tra musica e movimento cambia quando il sistema dopaminergico è alterato dall’uso di queste sostanze.
Questo studio supportato dal progetto BioSUD, una biobanca per i disturbi da uso di sostanze, finanziato da Fondazione con il Sud e da
fondi Horizon Europe Seed dell’Università di Bari, si è avvalso della preziosa collaborazione dei centri dipendenze dell’Associazione Comunità
Emmanuel, distribuiti sul territorio pugliese che prendono in carico persone con disturbi da uso di sostanze, come cocaina ed eroina.
“Abbiamo osservato che le persone in terapia per la dipendenza da cocaina ed eroina provavano più groove con ritmi e armonie complesse
rispetto a chi non soffriva di dipendenza. Riteniamo, dunque, che l’uso prolungato di droghe comporti una sorta di adattamento agli intensi
picchi dopaminergici legati alla cocaina. Questo rende più difficile provare piacere o motivazione a situazioni semplici e quotidiane, e può
spiegare perché i tossicodipendenti ricercano maggiore complessità e intensità nella musica”, afferma la responsabile scientifica dello
studio prof.ssa Elvira Brattico (ordinario presso il dipartimento di Scienze della Formazione, Comunicazione e Psicologia dell’Università di
Bari e dirigente del Center for Music in the Brain della Aarhus University in Danimarca).
I ricercatori hanno trovato un modo per descrivere ciò che rende un groove davvero coinvolgente. Il concetto è sorprendentemente poco funky – viene infatti usata una curva a U rovesciata per rappresentare il groove, spiega il dott. Jan Stupacher della Aarhus University, primo
autore dello studio: “L’esperienza di groove ideale si trova spesso in schemi ritmici che raggiungono un equilibrio perfetto tra prevedibilità
– tramite un battito chiaro – e piccole sorprese che rompono la struttura regolare. Questi schemi ritmici sono tipicamente di
complessità moderata. Al contrario, ritmi troppo semplici o troppo complessi tendono a generare esperienze di groove più deboli: i ritmi
semplici mancano della sorpresa che genera eccitazione, mentre quelli troppo complessi rendono difficile per l’ascoltatore cogliere il
battito”.
E sebbene le differenze tra consumatori e non consumatori siano sottili, sono, tuttavia, abbastanza significative da suggerire un approccio
diverso alla musicoterapia per le persone dipendenti da eroina e cocaina Afferma ancora Elvira Brattico: “I nostri risultati potrebbero aiutare i
terapeuti a prendere decisioni informate sui tipi di musicoterapia più efficaci con individui che presentano disturbi da uso di sostanze.
L’esperienza condivisa del groove può agire come un potente collante sociale, e comprendere quali tipi di musica inducono il groove più forte può aiutare a sfruttare questo potenziale nei contesti terapeutici”.